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IL ’68 NON E’ MAI FINITO

Posted on 23 Novembre 202129 Novembre 2021
Visualizzazioni 42

Testo di Rosa Romano

Voci di Laura Colombo e Francesca D’Alessandro

LE PANCHINE DELLA RESPONSABILITA’

Era Febbraio del 1996 quando il Senato approvò, a larghissima maggioranza e per alzata di mano, la nuova legge sulla violenza sessuale. Ci erano voluti quasi 20 anni e sei legislature, ma alla fine c’eravamo arrivati. La violenza sessuale da quella data, diventava reato contro la persona e non contro la morale.  Un grande successo, un segno di civiltà che riconosceva la giusta dignità alla persona; noi donne ci sentivamo finalmente rispettate.

Sono passati 25 anni e dobbiamo ammettere che, sia pure lentamente, siamo riusciti a scardinare quello che per secoli è stato un tabù, ossia che fosse normale per un uomo esercitare violenza nei confronti di una donna – violenza spesso sottile e nascosta – senza sentirsi in colpa né tanto meno essere punito; ma, al contrario, inculcare un senso di colpa e di vergogna nelle donne e ragazze che ne erano vittime (ed erano tante, tantissime).

Tuttavia, malgrado questa nuova consapevolezza, forse anche per contrappeso, la violenza degli uomini non si è fermata, ma ha continuato ad esprimersi con i femminicidi. Togliere la vita a una donna è la violenza più efferata e irreversibile.  Perché lo fanno? E come fermarli?

L’antropologa Marcela Lagarde, rappresentante del femminismo latinoamericano è stata tra le prime teorizzatrici del concetto di femminicidio e già nel 1997 scriveva:  Il femminicidio implica norme coercitive, politiche predatorie e modi di convivenza alienanti che, nel loro insieme, costituiscono l’oppressione di genere, e nella loro realizzazione radicale conducono alla eliminazione materiale e simbolica delle donne …. E concludeva … Nel femminicidio c’è volontà, ci sono decisioni e ci sono responsabilità sociali e individuali.

Ed è su queste responsabilità che vorrei soffermarmi.

Responsabilità generale: della politica, delle istituzioni, della società, sia pure in misura e con pesi diversi. Tutti noi abbiamo pensato che sarebbe bastata una legge, e magari qualche iniziativa di welfare, per contrastare e debellare il fenomeno.

Ma questa panchina, le rosse panchine, ci dicono che non è così, che le radici di questi efferati delitti sono molto più profonde, che bisogna scavare, farsi male anche, per estorcere semi e credenze, rivedere magari anche il nostro linguaggio, oggi troppo spesso abbruttito e volgarizzato. Non bastano le leggi né tantomeno gli interventi riparatori. Ci vuole la cultura, la modifica di una coscienza collettiva che non sia indulgente nei confronti degli uomini e accusatoria invece verso le donne.

Ed è su questo che dobbiamo continuare a lavorare, con una particolare attenzione verso le giovani donne, le adolescenti, le ragazze, affinché comprendano e riconoscano fin dall’inizio le insidie nascoste in alcuni comportamenti, perché gli aggressori si trovano in tutti i ceti sociali, senza distinzioni di razza e di etnia.

Dobbiamo tutti insieme fare in modo che loro, le giovani donne, diventino sempre più consapevoli del proprio ruolo sul piano della parità; il loro futuro deve avere orizzonti più vasti, liberi da nuvole discriminatorie, perché nonostante la parità di genere sia un diritto sancito dall’UE fin dal 1957, c’è ancora molto da fare per tutelare i diritti e le autonomie delle donne.

Vogliamo che ciascuna di loro (e di noi), sedendosi su una di queste panchine si senta libera di essere donna, di essere libera, di essere viva.

Rosa Romano

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